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sabato 12 luglio 2008

Discussione sul DPEF 2009-2013

Si stravolgono le regole e si espropriano le prerogative del Parlamento
Il primo Documento di programmazione economico-finanziaria del Governo Berlusconi lascia irrisolta la vera emergenza. Da esso - e dalla manovra che lo accompagna - non si evince nessuna misura in favore del recupero di potere d’acquisto dei redditi fissi, ossia salari e pensioni.
Piuttosto, la macchinosità delle procedure e lo stravolgimento delle regole fa legittimamente sorgere il dubbio che questa accelerazione serva a occultare l’eventuale extragettito che sarebbe dovuto emergere dall’assestamento di bilancio e che, secondo l’articolo 1, comma 4, della finanziaria 2008, doveva essere automaticamente destinato alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente mediante un incremento delle detrazioni. Al momento, infatti, non è chiaro se e in quale misura il DDL di assestamento, varato dal Consiglio dei ministri 10 giorni dopo la manovra, sconterà la manovra stessa.
Sempre in merito alle procedure, va, inoltre, ricordato che la sessione di bilancio ha regole ben precise, nei tempi e nei modi, sia sotto l’aspetto della legislazione che dei regolamenti parlamentari. In particolare:
1. Entro il 30 giugno deve essere presentato: il DPEF (che indica gli andamenti tendenziali e programmatici) e il DDL di assestamento di bilancio per l’anno in corso.
2. Entro il 30 settembre devono essere presentati il DDL di bilancio e contestualmente il DDL finanziaria, nonché la Relazione previsionale e programmatica e l’eventuale nota di aggiornamento al DPEF.
Il DPEF viene approvato dalle Camere mediante una risoluzione con cui si impegna il Governo sui saldi ed, eventualmente, sui contenuti della manovra. Non si tratta di indicazioni di carattere meramente programmatico, ma di decisioni vincolanti per la fase di bilancio che, di norma, è successiva. Paradossalmente, stavolta la tempistica viene invertita: è la manovra che anticipa e vincola il DPEF e non il contrario. È una grave violazione delle prerogative del Parlamento, cui la Costituzione attribuisce con l’articolo 81 una funzione di indirizzo e controllo in ordine alla destinazione e allocazione delle risorse pubbliche in relazione ai fini da perseguire nell’interesse della collettività.
Inoltre, a legislazione e regolamenti parlamentari vigenti, è quantomeno improbabile che la finanziaria che si approverà a fine dicembre possa effettivamente essere snella nei contenuti.

Si continua ad ignorare il problema del potere d’acquisto
Veniamo al merito. Ogni Governo segna nel primo DPEF un programma di politica economica di legislatura. Il primo DPEF di Tremonti - che, peraltro, ha già in passato dichiarato di non credere in questo strumento - è un documento apparentemente povero di reali contenuti programmatici ma in realtà, soprattutto se letto in parallelo al decreto-legge che anticipa la manovra, molto pieno di criticità.
La politica economica del Governo, illustrata dal DPEF 2009-2013, non è all’altezza dei problemi del Paese ed è controproducente ai fini dell’aggiustamento della finanza pubblica. Non affronta le due priorità di fronte a noi: l’anemia della produttività e la perdita di potere d’acquisto dei redditi da lavoro e pensione. Senza intervenire su tali nodi, le previsioni di pareggio di Bilancio Pubblico al 2011 rimarranno sulla carta. Anzi, si rischia di innescare un circolo vizioso tra misure pro cicliche (depressive) e minori entrate/maggiori spese per i bilanci pubblici.
L’assenza di interventi significativi per lo sviluppo e per il sostegno al potere d’acquisto delle famiglie è riflessa dalle previsioni sull’andamento della produttività e del Pil nell’arco temporale della legislatura (Tabella II.6): anche per l’ultimo anno della previsione (2013), l’aumento della produttività è inferiore all’1% e permane un significativo differenziale di crescita con i Paesi dell’area-euro. Nonostante flebili, tali dinamiche appaiono infondate. La dinamica del Pil poggia interamente sulla domanda interna. La domanda interna, però, non ha sostegni. Nel 2009, la crescita delle retribuzioni (assumendo come proxy il costo del lavoro) è prevista, in termini aggregati, sostanzialmente in linea con il deflatore dei consumi. Pertanto, non si aprono spazi, almeno per i redditi da lavoro, per contribuire all’aumento in termini reali della domanda.
Sull’andamento delle redditi da lavoro e, conseguentemente della domanda interna, pesa l’obiettivo di inflazione programmata. Il Governo ha indicato un’inflazione programmata dell’1,7% per l’anno in corso e del 1,5% dal 2009 in poi. L’inflazione programmata è uno dei numeri più importanti del DPEF. È uno strumento fondamentale di politica economica. Deve essere inferiore all’inflazione “tendenziale” perché deve piegare le aspettative. Deve essere, però, credibile. Alla sua credibilità concorre, ovviamente, la politica monetaria della BCE, dalla quale è in arrivo una stretta. Ma concorre anche il livello indicato: un obiettivo troppo basso diventa non credibile e, invece di favorire un compromesso ragionevole tra organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori, genera conflittualità, incertezze, ritardi nella negoziazione e, inevitabilmente, effetti negativi sugli investimenti e sui consumi. Di conseguenza, sul Pil e sui bilanci pubblici.
Per sostenere il potere d’acquisto dei redditi da lavoro e da pensione e risolvere l’impasse in cui ha costretto le parti sociali, il Governo dovrebbe fare due mosse: 1. portare l’inflazione programmata al 2%, livello massimo compatibile con il mandato della BCE; 2. innalzare le detrazioni fiscali sui redditi da lavoro e da pensione per un importo medio di 250 euro, corrispondente ad un punto di inflazione per un reddito di 25.000 euro all’anno. Con tale intervento, un obiettivo di inflazione al 2% non comprometterebbe il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati. Ne beneficerebbe la distribuzione dei redditi e la domanda interna, fonte unica della previsione di crescita per i prossimi anni, previsione altrimenti campata in aria. Come finanziare le maggiori detrazioni? Con il ripristino delle principali misure di contrasto all’evasione, la cui eliminazione viene correttamente scontata dagli uffici del MEF nella previsione del gettito da imposte indirette. Infatti, nonostante l’invarianza della dinamica dei consumi interni rispetto alla RUEF (+3,8%), nel DPEF le imposte indirette del 2008 sono stimate in calo rispetto al 2007, mentre la RUEF indicava una crescita in linea con l’andamento dei consumi interni. La differenza è circa 6,5 miliardi per il 2008, una differenza solo in parte spiegabile con la diversa combinazione tra dinamica reale dei consumi e delatore tra RUEF e DPEF.
La previsione di crescita, oltre che dell’inflazione programmata, risente delle misure presenti e di quelle assenti dai decreti legge precedenti e contestuali al DPEF. Sono presenti (primo Decreto del Governo Berlusconi) misure che vanificano il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno. Sono presenti misure di svuotamento dei Fondi per Industria 2015. Sono presenti tagli agli investimenti per le infrastrutture in Sicilia e Calabria per 2 miliardi di euro. Sono presenti (Decreto-Legge Finanziaria) tagli per 6 miliardi di euro (nel 2009) ad investimenti pubblici e al sostegno alle imprese. Sono presenti tagli rilevanti alla spesa degli enti territoriali con inevitabili conseguenze non solo e non tanto sugli sprechi e le inefficienze, ma anche sui servizi a garanzia di diritti sociali (dalle mense nelle scuole, agli asili nido, dai trasporti pubblici locali all’assistenza agli anziani non autosufficienti) e civili. Sono presenti le Robin Hood taxes che, al di la della propaganda, scaricano sui consumatori maggiori costi data la scarsissima concorrenza sui relativi mercati. Sono assenti, come ricordato, misure di sostegno ai redditi da lavoro e pensione, vera emergenza sociale, come evidenziato dai dati sull’andamento delle vendite al dettaglio, in particolare nel Mezzogiorno (-4% nell’ultimo anno).
In sintesi, il percorso di aggiustamento della finanza pubblica interviene in senso pro ciclico sugli investimenti e sulla domanda interna e, pertanto, è irrealistico.

Si aumenta la pressione fiscale e si riducono le spese per investimenti
Per quanto riguarda la finanza pubblica, la correzione 2009 avverrà attraverso un aumento della pressione fiscale e una riduzione delle spese in conto capitale. In particolare, la differenza programmatico-tendenziale nel 2009 dovrebbe avere la seguente composizione:
Maggiori entrate 6,534 miliardi (66,6%)
(Di cui: pressione fiscale e contributiva 6,295 miliardi)
Minore spesa corrente primaria 0,194 miliardi (2,0%)
Minore spesa in conto capitale 3,080 miliardi (31,4%)
TOTALE 9,808 miliardi
E’ esattamente il contrario di ciò che sarebbe necessario per rilanciare l’economia mediante un incremento della domanda ma anche il contrario di quanto promesso in campagna elettorale e propagandato nei primi provvedimenti.
Si aumenta la pressione fiscale, nonostante l’impegno di “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Si riduce solo marginalmente la spesa corrente primaria, nonostante i grandi risparmi dalla riforma della P.a. annunciati dal Ministro Brunetta. E si taglia la spesa per gli investimenti, nonostante l’enorme deficit infrastrutturale di cui soffre il Paese.
In sostanza, con le misure di abolizione dell’ICI (il cui onere ricadrà in buona parte sui comuni) e di detassazione degli straordinari (transitoria), sul merito delle quali abbiamo già detto, si esauriscono le promesse elettorali. Ma anche l'aggiustamento nel biennio 2010-2011 avverrà mantenendo la pressione fiscale al di sopra del quadro a legislazione vigente e con un contenimento delle spese in conto capitale.

Tendenziale Programmatico
2009 2010 2011 2009 2010 2011
Entrate correnti 46,2 46,3 46,3 46,6 46,7 46,7
Entrate tributarie 29,1 29,3 29,3 29,4 29,6 29,7
Entrate finali 46,5 46,7 46,6 46,9 47,1 47,0
Uscite correnti 45,0 44,8 44,7 44,9 44,4 43,8
Interessi passivi 5,1 5,1 5,1 5,1 5,0 5,0
Uscite c/capitale 4,1 4,0 3,9 3,9 3,7 3,3
Uscite complessive 49,1 48,7 48,6 48,9 48,0 47,1
Saldo corrente 1,2 1,5 1,6 1,2 2,4 2,8
Avanzo primario 2,5 3,0 3,1 3,1 4,0 4,9
Interessi 5,1 5,1 5,1 5,1 5,0 5,0
Indebitamento netto -2,6 -2,1 -2,0 -2,0 -1,0 -0,1
Pressione fiscale 42,6 42,8 42,8 43,0 43,2 43,1
Debito/PIL 103,2 101,9 100,4 102,7 100,4 97,2

In valori assoluti, la pressione fiscale aumenta di 6,5 miliardi nel 2009, 6,7 nel 2010 e 6,5 nel 2011.
Quindi, il Ministro Tremonti aumenta le imposte, ma dichiara, per ben due volte nel DPEF, di “non mettere le mani nelle tasche dei cittadini”. L’aumento deriva per 4,5 miliardi da un aumento delle imposte dirette e fondarsi su una serie di interventi che il DPEF definisce, con discutibile sense of humour, di “perequazione fiscale”.
Quali sono questi interventi? La famosa Robin tax su banche e soprattutto produttori di energia, che, sulla base dei più elementari principi della teoria della traslazione delle imposte (domanda assolutamente rigida rispetto al prezzo) finirà per gravare in grande misura sulle famiglie, in barba all’esigenza primaria di aumentare il potere di acquisto in una fase stagnazione e di erosione salariale. Come spiegare altrimenti il 23% di aumento dei prezzi medi negoziati nella borsa elettrica nell’ultima settimana, oltre il doppio rispetto a quello che hanno prodotto le altre borse europee, che pure subiscono identiche tensioni congiunturali?
Sul tema del potere d’acquisto, poi, si parla nel DPEF di un fondo per l’acquisto di generi alimentari e il pagamento delle bollette elettriche, roba sconosciuta dai tempi della guerra.
In ogni caso poiché le varie Robin tax dovrebbero fornire maggiori entrate per 5,4 miliardi, ne deriva che, a meno che non si voglia credere che tali maggiori imposte possano provenire dall’”incrocio fra i dati previdenziali e fiscali degli immigrati” (e perché non degli italiani?), tali maggiori entrate non potranno che arrivare che da nuove imposte.
Sempre che non si voglia riconoscere l’esistenza di un “tesoretto” lasciato dal vecchio Governo e originato dall’aumento strutturale della propensione a comportamenti tributari corretti a seguito degli interventi messi in atto nell’ultimo biennio.
Ma va anche ricordato che, quando l’attuale maggioranza era all’opposizione, criticava ossessivamente gli aumenti della pressione fiscale del Governo Prodi. Tali aumenti sono imputabili, come noto, prevalentemente al recupero di risorse derivanti dalla lotta all’evasione e hanno consentito il risanamento della finanza pubblica. Non a caso lo stesso DPEF, nell’analizzare gli andamenti degli ultimi anni, riconosce che “L’indebitamento netto in rapporto al PIL, dopo aver raggiunto il 12,4 per cento nel 1985, ha cominciato a decrescere fino a raggiungere nell'anno 2000 il valore minimo (0,8 per cento). Successivamente il deficit ha ripreso a salire toccando il 3,4 per cento nel 2006, per poi collocarsi nel 2007 all’1,9 per cento del PIL” ma anche che “Dal 1998 l’avanzo primario ha cominciato a decrescere fino ad azzerarsi quasi completamente nell’anno 2005. Nel 2007 si è ricostituito un avanzo primario pari al 3,1 per cento del PIL”. Infine, sulle uscite si riconosce che “Dal 2001 l’incidenza delle uscite totali ha ripreso a salire fino a toccare nel 2006 il 49,3 per cento”. Tremonti ha, quindi, incassato un quadro sano di finanza pubblica nel 2001 e lo sperperato, tanto da far aprire una procedure di infrazione europea, chiusa a maggio grazie al risanamento operato del Governo Prodi. Da parte sua Tremonti si impegna oggi ad abbassare il peso della spesa esattamente di quanto lo aveva innalzato nella sua precedente gestione della finanza pubblica.
Rispetto al tendenziale, il Governo intende effettuare una correzione di circa 10 miliardi nel 2009. La composizione dell’aggiustamento è ancora più chiara se si tiene conto che nel 2009 si prevede un contenimento delle spese in conto capitale di circa 3 miliardi di euro. Gli investimenti fissi lordi scenderanno di circa 2,3 miliardi rispetto al quadro tendenziale, in un paese che presenta storicamente una carenza di infrastrutture.
Al contrario, le spese correnti diminuiranno nel 2009 di soli 194 milioni di euro.
In sostanza, i numeri rivelano andamenti esattamente opposti alla propaganda del Governo.

Si riducono i servizi e si deprime la crescita
Oltre a quelli relativi al non “mettere le mani nelle tasche dei cittadini con nuove tasse”, molti sono i dubbi sul “senza ridurre i servizi e le garanzie sociali essenziali”.
Secondo quanto indicato nel documento, l’azione correttiva si concentrerà principalmente sulla spesa pubblica, nella prospettiva di ridurla senza intaccare la quota di garanzia sociale. In particolare, oltre ai presunti risparmi di spesa per le Amministrazioni Centrali per un ammontare pari a circa 14,5 miliardi (di cui circa 5 miliardi nel 2009), il DPEF prevede misure specifiche, con un effetto di recupero pari nel triennio a circa 20 miliardi, che si concentreranno in particolare nei settori del pubblico impiego, della finanza decentrata (-9,2 miliardi nel triennio, di cui un terzo nel 2009), della sanità (3 miliardi complessivi dal 2010) e della previdenza. Considerato che molti dei servizi sono fornite dagli enti territoriali - già duramente colpiti dal provvedimento sull’ICI - risulta francamente difficile come questo possa non ridurre i servizi e le garanzie sociali essenziali.
Anche sul piano della crescita economica, il Governo dà una stima che va dallo 0,9% del prossimo anno all’1,5% del 2011 con una media nel triennio dell'1,2%. Se questo è l’obiettivo, ciò significa che il Governo è il primo ad essere consapevole di non agire a favore della crescita oppure che fa previsioni velleitarie sulla finanza pubblica. Con una crescita così bassa come potranno realizzarsi gli obiettivi di finanza pubblica, primo fra tutti il pareggio di bilancio nel 2011? Con tagli che non si realizzeranno oppure che, se realizzati, deprimeranno ancora la domanda interna? Non dimentichiamo, infatti, che ogni taglio di spesa innesca un circolo vizioso di ulteriore rallentamento della crescita, di una caduta del gettito tributario e di un conseguente restringimento degli spazi per le politiche di risanamento.
Come si pensa di rilanciare i consumi? Con la carità della carta per il cibo e le bollette? Con l’aumento del prezzo alla pompa dei carburanti o con l’aumento delle tariffe derivanti dalla Robin tax?
Insomma, siamo di fronte a una realtà che avevamo già vissuto tra il 2001 e il 2006 con il Governo Berlusconi. In quegli anni vi fu, con una testardaggine incomprensibile, il tentativo di incidere sul PIL in sede di programmazione economica. Ogni volta le previsioni sulla crescita del PIL venivano sistematicamente smentite l'anno dopo. Tra il 2001 e il 2006 restammo con una crescita contenuta tra lo 0,3 e lo 0,8 per cento mentre il Ministro dell'economia e delle finanze puntualmente ogni anno ci diceva che quello era l'anno buono: partì facendo previsioni di crescita al 3 per cento e chiuse mestamente nel 2006 con una previsione dell'1,2 per cento che venne smentita (la crescita fu dello 0,8 per cento).
Ora non si lavora più sul PIL, ma sull'inflazione. La novità di questo DPEF è l'intervento sull'inflazione. Ci viene detto che il Paese non avrà un'inflazione del 3,6 per cento ma dell'1,7% nel 2008 e dell’1,5%. Forse l'idea è quella di dire che intanto i contratti si rinnovano con un’inflazione programmata assurdamente sottostimata e poi, se in realtà l'inflazione effettiva è doppia, del 3,5 per cento, si chiederà agli italiani di farsi la doccia un giorno sì e un altro no, di mangiare un giorno sì e un altro no, di accendere il riscaldamento un giorno sì e un altro no?
Insomma, siamo di fronte a un DPEF che tradisce le promesse di riduzione della pressione fiscale fatte in campagna elettorale, deprime ulteriormente i consumi perché non prevede alcuna misura di aumento del reddito disponibile delle famiglie, riduce le spese per investimenti.
Queste sono, al contrario, le vere priorità del paese ed è su queste che fonderemo la nostra risoluzione parlamentare.

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