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martedì 1 luglio 2008

Parliamo di energia (di Federico Testa)

Lo scenario energetico italiano è segnato da molte fragilità ed è contraddistinto da consumi in forte aumento: in cinque anni, dal 2000 al 2005, secondo quanto rileva l'Istat, i consumi pro capite di energia elettrica sono aumentati del 5,5%, quelli di gas dell'8,9%. Abbiamo quindi un aumento dei consumi rilevante, nonostante gli indicatori di intensità energetica - ovvero di consumo di energia rispetto alla crescita - siano inferiori a quelli della media europea. Sotto questo profilo, quindi, siamo lievemente virtuosi. Il black out del settembre 2003 e le due emergenze gas del 2005 e del 2006 hanno comunque portato allo scoperto i ritardi, le contraddizioni, le mancate scelte del nostro paese. Dal confronto con i paesi industrializzati emerge l’anomalia italiana: siamo il paese occidentale che utilizza più gas, ma l’Italia è ormai povera di gas. I primi giacimenti sono andati esaurendosi e le scoperte più recenti non sono state sufficienti a bloccare il continuo declino della produzione interna: nel 1996 si estraevano ancora venti miliardi di mc., nel 2006 soltanto 10,9 milioni, che consentono di coprire solo il 12,5% dei consumi interni, a paragone del 40% di dieci anni prima. Come conseguenza dell’attuale situazione, l’Italia si trova ad avere:
• alti costi dell’energia: il sistema tariffario italiano è caratterizzato da prezzi inferiori alla media europea per le utenze domestiche, ma prezzi superiori per le utenze industriali a consumi elevati. I costi di energia elettrica per la nostra piccola-media industria nelle diverse classi di consumo da 50 MWh a 2 GWh (fascia che copre il 90% della piccola-media industria italiana), al lordo delle imposte sono più elevati della media europea del 20-46%. Il divario è anche maggiore se si considerano i prezzi al netto delle imposte;
• produzione di energia inquinante: con la firma del Protocollo di Kyoto l’Italia nel 1990 si impegnava ad una riduzione del 6,5% di queste emissioni nel periodo 2008 - 2012. Il Paese non solo non rispetta l’impegno ma il trend è crescente! Nel 2002 si è avuto un aumento delle emissioni dei principali gas serra di circa 9% rispetto al 1990, dovuto soprattutto ai sistemi di produzione dell’energia elettrica ed ai trasporti, rispetto ad una riduzione del 3% nel resto dell’Unione Europea (UE-15);
un sistema di approvvigionamento fragile: il sistema Italia è fortemente dipendente dal gas e dal petrolio, quindi per gli approvvigionamenti energetici dipende da pochi produttori: il nostro Paese dipende per circa due terzi dalle importazioni che provengono da due soli paesi, Russia e Algeria, entrambi consapevoli del loro crescente peso contrattuale sulla scena internazionale. La scarsa diversificazione dei fornitori e la mancanza di rigasificatori, che rende impossibile l’approvvigionamento da altri paesi (es. Indonesia, Arabia saudita, Iran), rendono estremamente fragile il sistema degli approvvigionamenti, con il rischio di intese che possono spingere al rialzo dei prezzi.
Lo scenario sopra tracciato in cui il nostro Paese si deve muovere non è sostenibile a lungo termine, occorre quindi fornire con urgenza una risposta alla domanda: cosa si può ipotizzare per il futuro? Data la situazione attuale appare chiaro che l’approccio alla questione energetica dal punto di vista delle fonti deve prevedere interventi diversi con diversa cadenza temporale. Nel breve-medio (5 anni) periodo occorre mettere in atto le azioni necessarie a prevenire, da un lato, situazioni di potenziale emergenza energetica e dall’altro a riorganizzare l’offerta a prezzi più concorrenziali per la nostra industria e per gli usi domestici. In tempi ragionevolmente brevi ciò può essere ottenuto solamente mediante un riequilibrio del mix energetico nazionale cercando di limitare l’uso delle fonti ad alta emissione di anidride carbonica, e di gas-serra in generale, contenendo nel contempo gli sprechi ed aumentando l’efficienza dei sistemi di produzione. In una prospettiva di medio-lungo (5-10 anni e oltre) termine occorre, invece, ridefinire in maniera sostanziale la struttura delle fonti di approvvigionamento energetico, attraverso piani pluriennali di sfruttamento delle fonti primarie, in maniera sostenibile e coerente con le reali disponibilità. In questo contesto vanno sicuramente riconsiderate il carbone ed il “nuovo nucleare”, senza trascurare nuove fonti primarie.


Prospettive di sviluppo nel breve e medio termine
Le azioni principali ed urgenti nella gestione del sistema energetico nazionale potrebbero essere:
• incentivare e supportare le politiche di uso razionale dell’energia e di risparmio energetico che possano condurre nel breve periodo a consistenti risparmi (sino a diversi punti percento del fabbisogno). In questo senso va proseguita l’opera avviata dal precedente Governo relativa alle politiche per l'efficienza energetica (nell’industria, nelle famiglie, nell’edilizia), strumento in grado di rallentare il costante aumento dei consumi di energia
• promuovere e incrementare la produzione energetica da fonte rinnovabile in special modo nei settori dell’eolico, del solare, delle biomasse, dei biocombustibili, del biogas che sono in generale meno sviluppati rispetto agli altri grandi paesi europei.
• in una situazione in cui si vogliono valorizzare le fonti rinnovabili e la microgenerazione, è del tutto evidente che occorre porsi il problema - anche con le regioni e gli enti locali - di come si possa riformulare il sistema complessivo della distribuzione. Quest'ultima non va più in un senso solo, da chi la produce alle case, alle aziende ed ai servizi. Ormai le famiglie e le imprese stesse possono produrre energia, il che significa che deve cambiare la concezione della rete di distribuzione.
• avviare una fase di diversificazione dei fornitori, in special modo nel settore del gas naturale, così da contrastare un’eventuale operazione di “cartello” che potrebbe portare ad un ingiustificato incremento dei prezzi e nuocere gravemente al settore produttivo del Paese. Potenziare le infrastrutture di rigassificazione, trasporto e stoccaggio il più rapidamente possibile, nell'ottica di aumentare gli afflussi di gas e superare le rigidità di accesso alla rete e il rischio di congestioni, potenziando per questa via la flessibilità del sistema;
• aumentare la concorrenza nell’approvvigionamento. L’Eni rimane l’operatore principale in tutte le attività della filiera ed in tutte le aree del Paese, non si sono sin qui sviluppati nuovi operatori di dimensioni e capacità operative adeguate ad un vero contesto concorrenziale ed i nuovi entranti solo in pochi casi hanno potuto godere di un accesso diretto, non intermediato, alla materia prima. E’ evidente che -e questa è la principale motivazione del limitato decollo dell’apertura del mercato del gas alle famiglie- se tutti i potenziali venditori finali finiscono per comprare sostanzialmente dallo stesso fornitore, i margini per agire sulla leva prezzo sono quanto mai ridotti;
• affrontare il tema degli assetti proprietari e funzionali relativi alle reti. L’argomento è noto: la rete è per definizione un monopolio naturale, per il quale non sussiste la convenienza economica alla replicabilità. Proprio per questo è essenziale assicurare l’effettiva terzietà ed imparzialità della gestione dell’infrastruttura (il c.d. levelled playing field) rispetto ai diversi operatori che, in forza dei processi di liberalizzazione, competono nel mercato. Questo non solo per garantire che non insorgano comportamenti lesivi del diritto di accesso, a parità di condizioni, all’infrastruttura in monopolio naturale, quanto anche per evitare che “comportamenti omissivi”, quali quelli di non favorire gli investimenti, ben più difficilmente verificabili, finiscano comunque per produrre il risultato di limitare lo sviluppo della concorrenza, che per consolidarsi ha bisogno che le infrastrutture di rete siano caratterizzate da capacità produttiva in eccesso, così che a nessun operatore possa essere “opposta” la delle infrastrutture. Il tema è certamente complesso, da più parti sono legittimamente stati sollevate preoccupazioni relative agli assetti proprietari dell’eventuale rete scorporata ed alla difficoltà ancora persistente a trovare soluzioni a livello di sistema europeo che garantiscano la presenza di pari condizioni per tutti gli operatori che si muovono sul mercato almeno continentale: aspetti problematici, certo, per i quali va individuata una soluzione, ma che a mio parere non possono far deflettere dal dare concreta effettività al principio della parità di accesso dei competitor alla rete

In una prospettiva di medio-lungo termine occorre, invece, ridefinire in maniera più sostanziale la struttura delle fonti di approvvigionamento energetico, attraverso piani pluriennali di sfruttamento delle fonti primarie, in maniera sostenibile e coerente con le reali disponibilità. In questo contesto vanno sicuramente riconsiderate il carbone ed il “nuovo nucleare”, ma senza trascurare nuove fonti primarie.
Il Nucleare opzione del nostro futuro?

Attualmente operano nel modo circa 440 reattori nucleari, per una potenza pari circa a 370 GWe, producendo il 15,2 % dell’energia elettrica mondiale, il 30,2% di quella europea (dati 2005). Questa percentuale è rimasta pressoché costante nell’ultimo decennio, ma si registra di recente un rinnovato interesse nei confronti di questa fonte energetica.
A testimonianza ne è il fatto che, ad oggi, a livello mondiale ci sono circa 30 reattori nucleari in costruzione, poco meno di 90 pianificati e oltre 200 annunciati. La crescita nucleare a breve termine resta concentrata in Asia ed Est Europa. Altrove i piani rimangono più contenuti, ma appare chiaro come l’impiego dell’energia nucleare si stia ripresentando quale seria opzione.
La quasi totalità degli impianti oggi in funzione è della cosiddetta seconda generazione e raffreddamento ad acqua. Si tratta di vari concetti di reattore, PWR, BWR, CANDU, etc., costruiti tra gli anni 1970 – 1980.
Sono già disponibili oggi reattori di terza generazione che migliorano sicurezza e competitività: sono, ad esempio, in corso di costruzione in Francia e in Finlandia centrali nucleari di tipo EPR (European Pressurized Reactor), sono pronti alla costruzione in USA e Cina sistemi tipo AP1000 e sono già stati costruiti in Giappone reattori ad acqua bollente tipo ABWR.
Miglioramenti di questa generazione di reattori sono in fase di studio (la cosiddetta generazione III+ o International Near Term Deployement (INTD) Reactors), che potranno costituire le scelte disponibili presumibilmente a partire dal 2010-2015.
I limiti più evidenti dei reattori di terza generazione sono ancora quelli della produzione delle scorie ed i rischi di proliferazione: scorie perché questa classe di reattori continua ad utilizzare in maniera insoddisfacente l’uranio naturale (ne usano solo l’1%) producendo al contempo rifiuti di lunga vita (plutonio ed attinidi minori) e sono proliferanti perché ricorrono alla tecnica di arricchimento dell’uranio.
Da qui la spinta propulsiva verso lo sviluppo dei sistemi cosiddetti di quarta generazione, che potranno definitivamente rispondere alle questioni ancora aperte con le attuali classi di reattori nucleari. Questi nuovi reattori, di cui si prevede lo spiegamento tra il 2025 e il 2030, ma probabilmente anche prima in presenza di un processo di intensificazione delle attività di sviluppo, sono tali da presentare caratteristiche migliori per lo sfruttamento del combustile, minimizzando la produzione di scorie a lunga vita, con particolare attenzione però alla economia nella produzione ed alla sicurezza nel funzionamento.
Gli impianti di quarta generazione, saranno, quindi, sicuri ed economici, sostenibili e meno proliferanti, quindi potrebbe essere di notevole interesse accelerare lo sviluppo tecnologico, attraverso programmi di ricerca mirati, al fine di anticiparne l’industrializzazione.
In questo quadro, a livello internazionale sono state lanciate negli ultimi anni una numerosa serie di iniziative a supporto dello sviluppo di reattori di quarta generazione fra cui si ricorda, di particolare rilevanza, l’iniziativa Generation IV, appunto, lanciata nel 2000 dall’ U.S. Department of Energy (DOE), l’ International Project on Innovative Reactors and Fuel Cycles (INPRO), il Global Nuclear Energy Programme (GNEP) e la Sustainable Nuclear Energy Technology Platform. L’Italia ha firmato i protocolli GNEP con il governo Prodi.
In parallelo sono state intraprese, segnatamente a livello europeo, anche rilevanti attività di ricerca e sviluppo che mirano specificatamente a rendere possibile una drastica riduzione dei rifiuti radioattivi a lunga vita mediante tecniche di separazione e trasmutazione (P&T - Partitioning and Transmutation), tra cui da ricordarsi sicuramente gli sforzi indirizzati allo sviluppo dei sistemi sottocritici pilotati da acceleratore (ADS) proposti dal Prof. Rubbia.
Dal punto di vista della produzione di energia da nucleare il quadro attuale del nostro Paese vede ENEL impegnata in numerosi progetti nucleari all’estero, in particolare in Repubblica Slovacca, dove ha acquisito il 66% del capitale di Slovenske Electrarne, in Sapgan con Endesa ed in Francia, dove ha siglato un accordo con EDF per l’acquisizione di una quota produttiva di 200 MWe del nuovo impianto nucleare di tipo EPR di Flamanville.
Al contempo, l’industria di settore è ancora coinvolta nella progettazione e realizzazione di impianti nucleari di seconda e terza generazione, nello sviluppo della quarta generazione e della “terza generazione modificata”.
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Se si assume, però, che l’Italia possa nel suo futuro porsi come attore internazionale nello sviluppo dell’ nucleare , producendo energia sul territorio nazionale in modo competitivo e con capacità industriali tali da farle intercettare una parte di mercato mondiale delle forniture necessarie per la realizzazione di impianti nucleari, sarà necessario porsi nella condizione di incrementare competenze e impegni, di modo da riavviare in modo coerente l’intero sistema dismesso oramai vent’anni fa.
E’ chiaro, infatti, che la ripartenza dell’Italia nel nucleare pone alcuni temi di base che occorre affrontare e la cui soluzione e sostenibilità economica non può essere garantita con la semplice costruzione di uno o più reattori di tecnologia esistente comprati chiavi in mano all’estero.
Considerata la complessità del tema nucleare appare inevitabile, difatti, adottare un approccio di tipo globale e sistematico che definisca puntualmente il cammino da percorrere, evidenzi criticità e complessità, permettendo di effettuare scelte ragionate e razionali.
Si tratta di porsi nelle condizioni di evidenziare le reali necessità in termini energetici del sistema Italia e di individuarne, mediante analisi di scenario e mercato, adeguate risposte, da perseguirsi grazie ad un appropriato rilancio ed un’azione sinergica di industria, mondo della ricerca e accademia.
Bisognerà ricreare tutte le competenze necessarie (con particolare attenzione al potenziamento del sistema della ricerca e al rilancio dell’industria di settore, di modo che possa gestire in modo competitivo ed efficace tutte le attività di propria competenza sul territorio nazionale e sia capace di esportare tecnologia e lavoro italiano all’estero), ricostituire un’efficiente autorità di sicurezza, adeguare opportunamente la rete elettrica, poter trattare in modo coerente le problematiche del ciclo del combustibile, con specifico riguardo alla scelta del sito per lo stoccaggio dei rifiuti (che dipenderà dalle scelte complessive in termini di reattori che si intendono installare, dalla volontà o meno di investire sui processi chiusura del ciclo del combustibile mediante processi di tramutazione delle scorie, sia in reattori del tipo ADS, sia aprendo poi la via ai reattori di quarta generazione), e così via.
Un corretto riposizionamento dell’Italia nel contesto nucleare non potrà, poi, prescindere dall’esistenza di un’adeguata rete di accordi internazionali, sia di tipo bilaterale, su precise aree tematiche, focalizzati su temi programmatici di attualità, che a carattere multilaterale, su azioni di più ampio respiro, che permettano di sviluppare sinergie e strategie comuni.
In questo quadro, la scelta di investire nella costruzione di reattori di terza generazione potrebbe acquisire una sua prospettiva strategica se vista quale elemento della ricostituzione dell’intero sistema nucleare, in preparazione all’inserimento dei reattori di quarta generazione.
Tutto ciò, peraltro, in una chiarezza di scenario che fornisca elementi tali da rendere economicamente accettabili investimenti estremamente elevati a fronte di forti elementi di incertezza sulla ricuperabilità economica di tali investimenti a fronte dell’ingresso in campo di nuove tecnologie a maggior livello di efficienza

Occorre, infine, osservare che l’adozione di un ottica di sistema è imprescindibile anche per garantire la competitività economica della scelta nucleare.
Si noti che la costruzione di un solo reattore di terza generazione o di due, per altro acquistati all’estro, potrebbe risultare economicamente sbagliato, oltre che socialmente non conveniente, mentre l’ obiettivo di coprire una quota di almeno il dieci per cento della potenza installata italiana potrebbe, invece, essere coerente con l’idea di un ritorno strategico al nucleare.
I costi del nucleare, infatti, sono pesantemente affetti da alcuni fattori quali l’entità dell’investimento (inteso come costo dell’investimento per MW istallato e gli interessi sul capitale investito), la vita utile dell’impianto ed il suo tempo di lavoro su base annua (fattore di utilizzo), i costi di esercizio e manutenzione, i costi del ciclo del combustibile, compresi quelli di fabbricazione e di smaltimento/riprocessamento dopo l’uso.
Si pone quindi il tema di necessarie forme di limitazione/socializzazione dei rischi, nonché ci si deve interrogare se il percorso che si intende intraprendere possa essere compatibile con il modello di mercato concepito con le direttive sulla liberalizzazione. È infatti probabile che i nuovi progetti nucleari possano porre un problema di finanziamento. Una strada per affrontarli potrebbe essere il ricorso al project financing che richiede però una chiara definizione delle responsabilità per garantire costi e ricavi. Ci devono essere contratti di lungo termine per la vendita di elettricità? Se sì, come si inseriscono nell’attuale contesto di mercato? L’AEEG può giocare un ruolo?
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Considerando che comunque è difficile fare una reale previsione dei costi finali dell’energia prodotta per via nucleare, sulla base di quanto detto appare tuttavia evidente che la produzione di energia elettrica per via nucleare risulta competitiva con quella derivante da altre fonti laddove esistano programmi nazionali di sistema basati, ad esempio, sull’uso di unità standard, tutte di uno stesso tipo, e dove il numero degli impianti consenta il raggiungimento dell’effetto scala.
Se un impianto nucleare viene fatto funzionare ad un fattore di utilizzo superiore a quello inizialmente previsto o per un tempo più lungo di quello pianificato, si può avere un sensibile ritorno economico.
In quest’ottica, quindi, parlare di un ritorno al nucleare,anche mediante la realizzazione di impianti di terza generazione sul territorio nazionale nel prossimo decennio, deve significare sostanzialmente :
 varare una scelta di prospettiva che impegni il paese verso lo sviluppo di sistemi nucleari, con specifico riferimento alla quarta generazione, puntando decisamente verso il “nuovo nucleare” per consolidare nel tempo l’opzione e dare un respiro strategico alla industria nazionale;
 ricostruire nel più breve tempo possibile un “sistema nucleare” in Italia (autorità di sicurezza, formazione, ricerca e sviluppo, capacità tecnologiche ed industriali) che si è depauperato dopo il referendum ma che è condizione necessaria per ogni ripartenza;
 affrontare con serietà il tema del trattatamento e del deposito delle scorie, sia quelle legate all’esercizio dei vecchi impianti, sia quelle legate all’ esercizio di eventuali nuovi reattori anche considerando la possibilità di ridurre la problematica mediante l’uso futuro di reattori di quarta generazione;
 affrontare il problema di rafforzamento e riadattamento della rete elettrica nazionale;
 identificare con chiarezza i soggetti nazionali che potranno essere chiamati alla gestione di impianti di questo tipo.

Queste condizioni dovrebbero essere soddisfatte perché la prospettiva del nucleare sa fissione in Italia non si limiti alla messa in funzione di alcune centrali acquisite chiavi in mano all’estero ma costituisca un vero investimento a lungo termine per il paese.

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