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Stadio:
Sabato 1, 8, 15, 22, 29 ottobre dalle 9.30 alle 12.30
Saval:
Venerdì 14 e 21 dalle 10.00 alle 12.00

venerdì 2 settembre 2011

Intervista a Pierpaolo Romani e all'On. Maino Marchi (a cura di Antonino Leone)

Intervista a Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, a cura di Antonino Leone effettuata in occasione della Festa Democratica di Borgo Nuovo (Verona).

Un anno fa nella trasmissione televisiva “Vieni via con me” lo scrittore Saviano dichiarò: “Dove si sviluppa il più alto tasso d’investimenti criminali. Milano è la capitale degli affari ‘ndranghetisti. Non è roba da terroni. Al Nord le cosche parlano con la Lega, vogliono incontrare un consigliere leghista”. A queste affermazioni alcuni parlamentari leghisti sono intervenuti per contestare tali dichiarazioni e Saviano ha confermato quanto dichiarato senza indietreggiare di un solo passo.
Per iniziare questo incontro ritengo necessario che gli ospiti rispondano chiaramente ad alcune domande ovvie e semplici. La Mafia ha dei limiti territoriali? Opera oltre i confini territoriali del Sud? Se si quali regioni sono più compromesse dalle infiltrazioni mafiose?
Le mafie sono delle organizzazioni criminali segrete che esistono in Italia da circa 150 anni. La prima organizzazione sorta è la camorra campana. Storicamente, le mafie sono nate nel Mezzogiorno d’Italia ma, dalla fine degli anni ’50, inizio anni ’60, sono presenti anche nel Nord Italia. Nel 1994, la Commissione parlamentare antimafia ha scritto che in Italia “non esistono” isole felici, vale a dire che non esistono territori immuni dalla presenza del crimine organizzato.

Molti ricordano che la Mafia opera nell’agricoltura, nell’edilizia e nei movimenti di terra in particolar modo nel settore delle opere pubbliche. Recenti pubblicazioni segnalano che la Mafia si è adattata e professionalizzata ed interviene nel mondo della finanza e dell’economia. Queste affermazioni sono vere? Quali sono le modalità che la mafia usa per essere presente nei gangli essenziali del paese?
Secondo la Commissione parlamentare antimafia, il giro d’affari delle mafie italiane si può stimare intorno ai 150 miliardi di euro l’anno. La maggior parte di questo denaro viene realizzato attraverso il traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Questa enorme ricchezza fa sì che le mafie non siano semplicemente dei gruppi criminali, ma delle vere e proprie holding economico-finanziarie. Secondo la Banca d’Italia, il riciclaggio del denaro sporco incide per il 10% sul PIL del nostro Paese. Questo significa che i mafiosi, in particolare nel centro-nord Italia e all’estero, investono molto denaro nel sistema economico legale, avvalendosi dei servizi che vengono loro offerti da stimati professionisti: commercialisti, avvocati d’affari, notai, imprenditori. Con un’espressione potremmo dire che la vera forza delle mafie sta fuori delle mafie, sta in quel pezzo di società che il Procuratore nazionale antimafia ha definito “borghesia mafiosa”.

L’Italia vive una grave crisi economica e le imprese hanno bisogno di liquidità e di credito per sopravvivere e superare questo momento difficile. La mafia si insinua in queste situazioni di difficoltà per riciclare il denaro di illecita provenienza e per investire il proprio patrimonio? La mafia amministra in modo eccellente il proprio patrimonio?
Certamente il momento di grave crisi economica che stiamo vivendo è una manna per i mafiosi che dispongono di molto denaro e in forma liquida. In Veneto, nell’aprile di quest’anno, l’indagine “Serpe” condotta dalla Dia di Padova e dalla DDA di Venezia ha scoperto che molte piccole e medie imprese del Nord-Est erano finite in un circuito usuraio gestito da un gruppo mafioso collegato al clan camorristico dei casalesi. A Roma, recentemente, si è scoperto che la ‘ndrangheta ha acquisto il Cafè de Paris in via Veneto e il Bar Chigi in Piazza Colonna, di fronte alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. I mafiosi prestano soldi non per far soldi, ma per impossessarsi delle proprietà. Al 1° luglio di quest’anno sono stati confiscati 11.552 beni immobili, di cui di cui 1427 aziende. Al primo posto per numero di beni confiscati resta sempre la Sicilia, con 5.113 beni. Seguono Campania (1.722), Calabria (1.640), Lombardia (971) e Puglia (964). In dati percentuali, la Sicilia detiene il 44,26% dei beni confiscati, seguita da Campania (14,91%), Calabria (14,20%),Lombardia (8,41%) e Puglia (8,34%).


Le mafie per allargare i propri affari e renderli sempre più redditizi hanno bisogno di connivenze, di legami soffocanti e condizionanti con le istituzioni specificatamente con la classe politica che detiene il potere e con i colletti bianchi. Fino a che punto questo circolo vizioso è arrivato e come ci si può liberare da queste relazioni che inquinano le istituzioni e la società.
Come Avviso Pubblico, da tempo sosteniamo che non può esistere la mafia senza rapporti con la politica, ma deve esistere una politica senza rapporti con la mafia. Gli obiettivi dei mafiosi sono quelli dell’arricchimento rapido e la ricerca dell’impunita. Ecco perché è importante il rapporto con i politici. Questi ultimi, a certi livelli, hanno il potere di fare (o non fare) le leggi e di bandire gli appalti. Il politico, quindi, è indispensabile.
Si pensi a questo dato: dal 1991 al marzo del 2011 sono stati emessi ben 200 decreti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazione mafiosa. L’ultimo comune italiano sciolto per mafia è stato Bordighera, in provincia di Imperia, nella scorsa primavera.
Il rapporto mafia e politica non si può spezzare solo con l’intervento della magistratura. Occorre che i partiti non candidino persone che hanno avuto, hanno o possono avere problemi giudiziari. La Commissione parlamentare antimafia ha approvato un codice di autoregolamentazione dei partiti che, in buona parte, è stato disatteso. Anche i cittadini devono fare la loro parte. È fondamentale che essi votino e sostengano le persone perbene e, se se la sentono, che si mettano in gioco, candidandosi essi stessi.

Nel Veneto ed a Verona vi sono stati alcuni avvenimenti che lasciano presupporre che le mafie si siano inserite anche in questo tessuto sociale. Quale è il livello di infiltrazione delle mafie nel Veneto e nella provincia di Verona? La Regione e gli enti locali come possono contrastare questo fenomeno criminale?
Tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’90 del XX secolo in Veneto ha operato la “Mafia del Brenta”, creatura nata tra le province di Padova e Venezia grazie al contributo di mafiosi siciliani e campani che si trovavano in quei territori a causa della legge sul soggiorno obbligato. In Veneto, inoltre, sono presenti 81 beni immobili e 4 aziende confiscate a persone appartenenti al mondo della criminalità organizzata. Nella provincia di Verona i beni sono 25, di cui 1 azienda a Sanguinetto. A Zimella e a Gazzo Veronese, un mese fa, sono stati sequestrati beni per un valore di 3,5 milioni di euro ad un esponente della ‘ndrangheta calabrese.
Gli ultimi dati sui sequestri di droga forniti dal Ministero dell’Interno pongono il Veneto al secondo posto delle regioni del Nord Italia, dopo la Lombardia.
La Regione e gli enti locali possono fare molto per prevenire l’infiltrazione mafiosa. Come Avviso Pubblico organizziamo dei corsi di formazione per amministratori pubblici e funzionari della pubblica amministrazione per far conoscere le caratteristiche del fenomeno mafioso e per illustrare buone prassi che si possono adottare nel settore degli appalti, del contrasto all’usura e alla corruzione.
La Regione può fare due cose importanti: approvare una legge specifica, come ha recentemente fatto l’Emilia Romagna, e dare vita ad un Osservatorio permanente che, collaborando con le forze dell’ordine e le istituzioni, contribuisca a monitorare il fenomeno, a pubblicare un rapporto annuale, a coinvolgere le scuole, le università, le associazioni, il mondo dell’imprenditoria, della finanza e degli enti locali.

Intervista a Maino Marchi, deputato PD e membro della Commissione Antimafia, a cura di Antonino Leone effettuata in occasione della Festa Democratica di Borgo Nuovo (Verona).


Un anno fa nella trasmissione televisiva “Vieni via con me” lo scrittore Saviano dichiarò: «Dove si sviluppa il più alto tasso d’investimenti criminali. Milano è la capitale degli affari ‘ndranghetisti. Non è roba da terroni. Al Nord le cosche parlano con la Lega, vogliono incontrare un consigliere leghista”. A queste affermazioni alcuni parlamentari leghisti sono intervenuti per contestare tali dichiarazioni e Saviano ha confermato quanto dichiarato senza indietreggiare di un solo passo.
Per iniziare questo incontro ritengo necessario che gli ospiti rispondano chiaramente ad alcune domande ovvie e semplici. La Mafia ha dei limiti territoriali? Opera oltre i confini territoriali del Sud? Se si quali regioni sono più compromesse dalle infiltrazioni mafiose?
Le mafie non hanno limiti territoriali. Troviamo mafie italiane, come la ‘ndrangheta, in tutti i 5 continenti, Oceania compresa, visto che è presente in Australia, come lo è in America, in Asia, in Africa e ovviamente in Europa. La strage di Duisburg in Germania il 15 agosto 2007 lo ha reso evidente, ma era già insediata. Nello stesso tempo vi sono mafie in altri Paesi, le quali sono presenti anche in Italia. Si parla sempre più frequentemente di mafia russa, dei balcani, rumena, albanese, cinese, asiatiche, nigeriana, sudamericana, e così via. Si è globalizzata l’economia e si sono globalizzate le organizzazioni criminali mafiose. Senza che questo comporti automatismi. Ad esempio nei settori economici più dediti alle esportazioni è più difficile che si insinui la mafia, mentre in settori dove la concorrenza è più su scala locale vi sono maggiori possibilità. Il riciclaggio nell’economia legale delle enormi ricchezze che si accumulano con le attività illegali e criminali sta caratterizzando questa fase della vita delle mafie. La ‘ndrangheta, ad esempio, per una fase si è caratterizzata con i sequestri di persona. Le risorse accumulate le hanno permesso di inserirsi nel traffico degli stupefacenti e di esserne il principale protagonista nel nostro Paese. Questa attività produce enormi ricchezze che si investono in economia legale. I territori più ricchi sono quelli più esposti. Conseguentemente, in Italia, attraverso diverse vicende e modalità, il Nord. Da tempo le mafie operano oltre i confini territoriali del Sud, delle quattro regioni a insediamento tradizionale (Sicilia, Campania, Calabria e Puglia). Negli ultimi anni questa presenza è sempre più forte e radicata. La prima condizione per combattere le mafie al nord è l’assunzione della consapevolezza del loro insediamento. Bisogna evitare situazioni come nel gennaio 2010, quando davanti alla Commissione Parlamentare antimafia, il prefetto di Milano affermò che in quella realtà non c’erano le mafie con tutto ciò che le caratterizza, ma più semplicemente si facevano affari. Dopo 6 mesi sono scattati 300 arresti tra Milano e Reggio Calabria, che hanno clamorosamente smentito quelle affermazioni. Quindi le mafie al Nord ci sono. Dappertutto. Le regioni del nord che vedono una maggiore infiltrazione sono la Lombardia, il Piemonte, la Liguria e poi l’Emilia Romagna. Anche il Veneto non è immune, in base alle relazioni della DDA e della DIA. Sia per quanto riguarda il traffico di stupefacenti, con caratteristiche soprattutto transnazionali ( ad es. nel novembre del 2010 un’operazione della DIA condotta a Verona ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 16 soggetti, tra albanesi e magrebini), sia per la presenza di mafie italiane. In particolare la DDA sottolinea l’emergenza di presenze della ‘ndrangheta. Allarmante, oltre alla droga, la presenza di armi provenienti da arsenali dell’Est europeo, e di sostanze esplodenti. E anche in riferimento alle armi e agli esplosivi vi è una preoccupazione relativa alla ‘ndrangheta. In particolare si parla di Verona, Padova e Venezia. In un recente libro di Federico Varese “Mafie in Movimento” vi è un capitolo che confronta la presenza della “ndrangheta” tra Bardonecchia e Verona. In un caso è riuscita a controllare settori importanti dell’economia locale e delle istituzioni ( Bardonecchia), mentre a Verona questo non si è realizzato. E per varie motivazioni: la dimensione molto più grande rende più difficile il controllo politico, l’economia era più orientata alle esportazioni e l’immigrazione ha prodotto meno lavoro nero. Inoltre vi era una minore domanda di protezione criminale e la ‘ndrangheta non è riuscita ad assumere il controllo del mercato illegale degli stupefacenti. Le recenti relazioni di DIA e DDA sono però a testimoniarci di come nulla è definitivo e i tentativi di infiltrazione sono in continua evoluzione.

Molti ricordano che la Mafia opera nell’agricoltura, nell’edilizia e nei movimenti di terra in particolar modo nel settore delle opere pubbliche. Recenti pubblicazioni segnalano che la Mafia si è adattata e professionalizzata ed interviene nel mondo della finanza e dell’economia. Queste affermazioni sono vere? Quali sono le modalità che la mafia usa per essere presente nei gangli essenziali del paese?
Sono affermazioni vere. Nel Nord, ad esempio, in più parti e in più territori le mafie sono presenti nel settore dell’edilizia e di tutte le attività collegate, dai movimenti terra ai trasporti, alle opere pubbliche e agli appalti. Così come in agricoltura, ma questo soprattutto nel Mezzogiorno. E’ presente sul piano finanziario con l’usura e il riciclaggio. Ha il supporto di professionisti nei vari campi che servono per le sue attività. Le modalità sono diverse in riferimento alle varie situazioni. Un elemento comune è quello di poter agire con più facilità dove maggiori sono gli spazi di illegalità, più difficile il rispetto delle regole. L’edilizia per le sue caratteristiche, si presta molto bene. I cantieri non sono aziende fisse e quindi più difficili sono i controlli. Lavoro nero, evasione fiscale e contributiva, anche caporalato sono ampiamente presenti. L’attività è svolta nei vari settori da tante imprese, spesso molto piccole, a volte di una sola persona, per cui non a caso si parla di finti artigiani. Non vi sono regole per avviare un’impresa ( una recente legge bipartisan approvata alla Camera e ora all’esame del Senato, che ha unificato diverse proposte di legge, di una delle quali ero primo firmatario, cerca di introdurre alcune condizioni necessarie per avviare e svolgere l’attività di imprenditore edile), i lavori pubblici vengono svolti con subappalti (ed è stata tolta la corresponsabilità appaltante–appaltatore introdotta dal Governo Prodi), l’attività è localizzata . Sono tutti elementi che favoriscono l’infiltrazione mafiosa che punta al controllo totale, al monopolio del settore, nelle diverse località. Lo fa proponendo protezioni e poi colpendo chi non le accetta. Cerca di controllare le assunzioni, conseguendo consenso da chi ne beneficia e espellendo i sindacati. Oppure intervenire nel campo dei pubblici esercizi e della ristorazione. Oppure in quello dei giochi, sia legali che illeciti. Le modalità sono diversificate, ma tendono a sfruttare ogni situazione in cui il mercato non funziona pienamente senza cartelli e limiti alla concorrenza. Le mafie utilizzano tutte le situazioni in cui è presente una richieste di servizi che la pubblica amministrazione non garantisce per far funzionare l’economia secondo le regole e la legalità . In questi spazi le mafie si inseriscono. In sostanza si possono presentare con minacce, ma molto più spesso come “risolutori di problemi” per le aziende: nel rapporto con la pubblica amministrazione, nel rapporto con le altre imprese( es: recupero crediti, sostituendosi a una giustizia civile dai tempi troppo lunghi), nel rapporto con i lavoratori, oppure per erogare liquidità, imponendo tassi usurai. Nessun settore di per sé è immune. Hanno più difficoltà dove l’attività ha una forte propensione alle esportazioni (perché occorrerebbe controllare un territorio troppo vasto) e nei settori a più forte innovazione tecnologica ( non a caso attività come quella edilizia o nei pubblici esercizi hanno minori innovazioni).

L’Italia vive una grave crisi economica e le imprese hanno bisogno di liquidità e di credito per sopravvivere e superare questo momento difficile. La mafia si insinua in queste situazioni di difficoltà per riciclare il denaro di illecita provenienza e per investire il proprio patrimonio? La mafia amministra in modo eccellente il proprio patrimonio?
Si, è l’ultimo esempio che prima facevo delle mafie che cercano di presentarsi come risolutrici di problemi per le aziende, in realtà impadronendosene poco alla volta. L’usura è una forma di investimento del patrimonio delle mafie che è molto cresciuta in questi anni di crisi economica. Le imprese si sono trovate di fronte a un duplice problema di liquidità. Da una parte fanno più fatica ad esser pagate. Sia da clienti privati, che dalla pubblica amministrazione. Con i tempi della giustizia civile italiana se non sei pagato dai clienti ci vogliono anni per recuperare quanto ti spetta.
Non a caso questo è uno dei principali aspetti che scoraggia gli investimenti esteri nel nostro Paese.
La pubblica amministrazione ha allungato i tempi dei propri pagamenti, sia a livello centrale che sul piano locale, in quest’ultimo caso a causa delle regole del patto di stabilità interno. Il PD ha avanzato in più occasioni proposte per cambiare questa situazione e adeguarci al contesto e alle direttive europei. Governo e maggioranza sono sempre stati sordi. Dall’altra parte la crisi ha prodotto una restrizione del credito alle imprese mettendo in difficoltà soprattutto le piccole imprese. Questi due fattori (meno pagamenti e meno credito) hanno determinato forti problemi di liquidità.
Già all’inizio della crisi economica il procuratore Nazionale Antimafia, il Presidente della Repubblica e il Governatore della Banca d’Italia hanno lanciato l’allarme sul rischio che la crisi di liquidità producesse un aumento rilevante dell’usura. Cosa che è puntualmente avvenuta. Il Governo ha fatto finta di niente. Il 31 marzo 2010, nel corso di un’audizione in Commissione Antimafia , ad una mia domanda su questo aspetto il Ministro dell’Interno Maroni si è limitato a dire che le denunce erano calate, ma che avrebbe verificato. E’ un esempio eclatante di come non ci sia un reale contrasto alle infiltrazioni mafiose nell’economia da parte del Governo. Si pensi che è stato dato l’allarme da parte della Banca d’Italia sulle stime che il Fondo Monetario Internazionale ha compiuto sul riciclaggio. Un business che viene calcolato pari al 10% del PIL in Italia, cioè un dato doppio rispetto alla media mondiale, pari al 5%. L’Italia si è data dall’inizio degli anni ’90 una normativa per contrastare con più forza il riciclaggio. E’ però una normativa che non contempla il reato di autoriciclaggio. Se un soggetto compie un reato per il traffico di stupefacenti e ricicla direttamente il denaro acquisito con quell’azione criminale, è perseguibile solo per il traffico di stupefacenti e non per il riciclaggio. Da tempo tutti i magistrati impegnati nella lotta alle mafie ci sottolineano l’esigenza di un cambiamento del codice penale, molto semplice, per introdurre il reato di autoriciclaggio. Il PD lo ha proposto ogni volta che si è discusso di sicurezza, di giustizia, di norme antimafia. La maggioranza e il Governo hanno sempre respinto le proposte, rinviando all’occasione successiva. Ora l’introduzione di questo reato, insieme al ripristino del falso in bilancio e all’irrobustimento delle norme contro il caporalato, fa parte di uno dei 10 punti su cui si basa la proposta alternativa del PD alla manovra finanziaria del Governo. Non a caso nei 10 punti vi sono anche norme più efficaci contro l’evasione fiscale e il contributo di solidarietà dai capitali scudati. Segnalo inoltre un altro settore dove si sta sviluppando l’usura da parte delle mafie. Quello del gioco, lecito ed illecito, che muove ingenti capitali in Italia e che sta producendo forme di ludopatia. In sostanza, le mafie colgono ogni opportunità per amministrare con il massimo profitto il loro patrimonio.

Le mafie per allargare i propri affari e renderli sempre più redditizi hanno bisogno di connivenze, di legami soffocanti e condizionanti con le istituzioni specificatamente con la classe politica che detiene il potere e con i colletti bianchi. Fino a che punto questo circolo vizioso è arrivato e come ci si può liberare da queste relazioni che inquinano le istituzioni e la società?
La presenza di colletti bianchi nelle organizzazioni criminali mafiosi ( magari i figli dei boss che hanno studiato) o la collaborazione con le stesse fa parte dell’affinamento dell’infiltrazione nell’economia, per cui è sempre più necessario avvalersi di competenze nel campo finanziario, in quello del diritto e nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Le mafie si adeguano continuamente alle nuove esigenze. Il triangolo mafie-economia-politica caratterizza sempre di più l’azione delle organizzazioni mafiose. A partire da enti locali, regioni e sanità, fino allo stato centrale. Diversi comuni sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Occorrerebbe aggiornare la normativa, prevedendo anche interventi nei confronti della direzione tecnica, che ha acquisito più poteri rispetto al passato, e individuando modalità per cui, se in un comune è in corso un iter che può portare allo scioglimento, non si possa aggirare gli effetti con le dimissioni e la possibilità di ricandidarsi immediatamente, com’è successo ad esempio a Fondi.
Siamo di fronte a situazioni che coinvolgono anche uomini di governo, come è stato per il sottosegretario Cosentino o adesso per il Ministro Romano. In commissione antimafia, sia nella precedente che in questa legislatura, si è cercato di affrontare il problema con il codice di autoregolamentazione per le candidature alle amministrative e alle regionali da proporre ai partiti. Voto unanime. Adesione formale. Di fatto vi sono state molte difficoltà ad acquisire tutti i dati su ciò che è successo nel 2010, in particolare per la non collaborazione di alcune prefetture, coordinate dal prefetto di Milano e coperte politicamente dal Ministro dell’interno. Occorrono nuove norme sul’incandidabilità che il Pd ha proposto. Occorre sviluppare tutte le azioni per contrastare questo fenomeno, che è un elemento strutturale della presenza delle mafie. Il Pd ha assunto questo come un aspetto che caratterizza la sua azione a partire dalle tante iniziative di sensibilizzazione politica e culturale sul problema e dalle iniziative delle Regioni e degli Enti Locali in cui governa, su cui voglio segnalare quelle dell’Emilia Romagna, che nell’ultimo anno ha approvato due importanti leggi regionali per contrastare le mafie e in cui, in varie realtà come a Reggio Emilia, si stanno siglando protocolli d’intesa fra la prefettura e le istituzioni locali

Maggioranza e governo si vantano di aver ottenuto risultati nella lotta alle mafie come mai in passato. E’ così?
In questi anni sono stati ottenuti importanti risultati sul versante del contrasto “militare” alle mafie. Sono risultati che non vanno sottaciuti, ma il cui merito è della magistratura e delle forze dell’ordine. L’unica persona che poteva essere arrestata per decisione politica era il sottosegretario Cosentino, ma Pdl e Lega hanno votato contro la richiesta d’arresto. Magistratura e forze dell’ordine che vedono continuamente tagliati i fondi per la giustizia e la sicurezza, che vedono tentativi per ridurre l’efficacia della loro azione (si pensi ai disegni di legge sulle intercettazione, su prescrizione breve e processo lungo) e a tutto ciò, per la magistratura, si aggiunge la continua denigrazione da parte del Presidente del Consiglio e di tutti gli esponenti della maggioranza. Le norme più efficaci approvate negli ultimi anni sono state prese da proposte del precedente governo o avanzate dal Pd, come quelle sulla tracciabilità negli appalti, all’interno del piano straordinario antimafia, o quelle per evitare che beni confiscati tornino nel possesso delle mafie con la vendita, all’interno della legge sull’agenzia nazionale per i beni confiscati. La presenza dei commissari Pd ha permesso di avere il numero legale per approvare il Codice di autoregolamentazione delle candidature. La Commissione Giustizia della Camera ha fatto proprie le proposte del Pd per correggere in modo rilevante lo schema di codice antimafia proposto dal governo negli ultimi mesi. Soprattutto il governo non ha fatto nulla per contrastare le infiltrazioni nell’economia come ho detto prima. Aggiungo il totale disinteresse della Lega ai lavori della Commissione Antimafia. Non sono quasi mai presenti in commissione. Scandaloso che nella missione a Torino, iniziata alle 9,30, la prima e unica parlamentare della Lega che ha partecipato si sia presentata verso la fine dei lavori, dopo le 18. Non era presente nemmeno la presidente del comitato che si occupa delle mafie fuori dalle zone tradizionali, cioè delle mafie al centro-nord, l’On. Lussana. D’altra parte, nonostante le nostre sollecitazioni, quel comitato è stato convocato solo quattro volte in due anni: una volta per l’insediamento, una per Reggio Emilia e due per Imperia. Da oltre sei mesi non è convocato. Probabilmente la Lega non vuole che si parli di Mafia al nord, perché emergerebbe la differenza tra spot, proclami, pubblicità ingannevole e realtà. Aggiungo: se consideriamo che la criminalità si globalizza, per contrastarla occorre più cooperazione internazionale e più Europa. Ve lo ricordate l’ex ministro della Giustizia Castelli che manifestava contro il mandato di cattura europeo? O che dire della direttiva europea sulle squadre investigative comuni? Direttiva del 2002, che solo ora, dopo tante sollecitazioni del Pd, è stata recepita con una legge approvata dal Senato e che spero venga presto definitivamente approvata dalla Camera. E’ un altro esempio quanto meno di scarsa sensibilità. La realtà è che le mafie sono il primo problema di sicurezza del Paese e organizzano anche la microcriminalità e l’immigrazione clandestina ma la Lega preferisce prendersela con le vittime (gli immigrati).

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